martedì 7 aprile 2020

In tempo di Coronavirus rimpariamo il valore di ogni vita umana

In questi giorni abbiamo notato e apprezzato l'impulso di solidarietà che si va diffondendo tra tutti noi, nelle nostre strade (vuote) e soprattutto nelle nostre case (piene).

Vedendo poi certe polemiche in vari paesi sull'accesso all'Interruzione Volontaria della Gravidanza (aborto), considerato da molti come uno dei servizi essenziali, ho immaginato una conversazione in videoconferenza tra alcuni piccoli confinati nei grembo delle proprie mamme.

Ecco uno scatto della videoconferenza in diretta:



_________________________ 

En estos días hemos notado y apreciado el impulso de solidaridad que se está extendiendo entre todos nosotros, en nuestras calles (vacías) y sobre todo en nuestras casas (llenas).

Viendo luego cierta controversia en varios países sobre el acceso a la Interrupción Voluntaria del Embarazo (aborto), considerado por muchos como uno de los servicios esenciales, he imaginado una conversación por videoconferencia entre algunos pequeños confinados en el vientre de sus madres.

Aquí va una toma de la videoconferencia en vivo:


_________________________

In these days we have noticed and appreciated the impulse of solidarity that is spreading among all of us, in our streets (empty) and especially in our homes (full).

Seeing then some controversy in various countries about access to the Voluntary Interruption of Pregnancy (abortion), considered by many as one of the essential services, I imagined a videoconference conversation between some little unborn babies confined in their mothers' wombs.

Here is a shot of the live videoconference:


mercoledì 2 novembre 2016

Eutanasia: La strategia scivolosa

Art. pubblicato su La Nuova Bussola Quotidina

In Olanda c'è chi vuole ora dare la possibilità di venire ucciso legalmente anche a chi semplicemente è stufo della vita. È la proposta avanzata con lettera formale al Parlamento da parte dei ministri della Salute e della Giustizia. Il testo è ovviamente un pò meno diretto: il diritto a "terminare la propria esistenza" verrebbe concesso alle "persone che hanno l'opinione… che la loro vita sia completa". Evidentemente la restrizione della legge attuale alle sole persone affette da una malattia inguaribile sembra troppo limitante.

Operazione simile nello stato americano dell'Oregon, nel quale alcuni pretendono di allargare il diritto al suicidio assistito per coloro che non sono in grado di svolgere attività che rendono la vita godibile. Difatti, sembra che una buona maggioranza delle persone che ricorrono al suicidio assistito lo facciano semplicemente perché sono stanche di vivere.

Posizioni estreme? Per niente: posizioni perfettamente coerenti, una volta accettata la posizione estrema di rendere legale che un cittadino ponga fine alla vita di un altro o l'aiuti a farla finita.

Nel dibattito bioetico sul tema dell'eutanasia, molti autori hanno preannunciato la discesa del "pendio scivoloso" (the slippery slope): una volta che si accetta o si legalizza un certo comportamento, si andrà giù giù fino a giustificare altre azioni oggi considerate inammissibili. Altri rifiutano questo ragionamento come infondato, anzi una "fallacia logica". Spesso, i critici del concetto del "pendio scivoloso", considerano certe derive abbastanza improbabili (almeno nel nostro tempo e nella nostra società). Su Wikipedia, c'è addirittura una voce dedicata alla "Fallacia della brutta china", dove si fa un esempio di successione considerata del tutto arbitraria. Il ragionamento fallace andrebbe così: "L'eutanasia è pericolosa. Si comincia col dare la morte a quelli che la chiedono. Poi a quelli che presumibilmente la chiederebbero. Poi a quelli che dovrebbero chiederla. Poi a quelli che la meritano". L'obiezione di alcuni autori consiste nel negare che se si legalizza l'eutanasia si cadrà necessariamente nei crimini praticati dal regime Nazista.

In realtà  non si tratta necessariamente di dire che se cominci qui scivolerai fino all'inferno. Anche se ti fermi un pò prima c'è da preoccuparsi. Proviamo infatti a verificare la successione (questa sì, fallace) dell'esempio citato: si comincia col dare la morte a quelli che la chiedono. Poi a quelli che non la chiedono. Già fatto: eutanasia per bambini sofferenti in Belgio. Oppure: Si comincia col dare la morte a chi è malato terminale. Poi anche a chi non è terminale ma soffre di una malattia fisica con dolori insopportabili. Poi pure a chi non è malato fisicamente ma soffre psicologicamente. Già fatto: dalla legge del 1993 a quella del 2002; e prima di quest'ultima, diverse sentenze giudiziarie. E, se si accogliesse la recente proposta in Olanda: si comincia col dare la morte a chi è malato terminale… Poi a quelli che pensano che la loro vita sia completa. Ancora da fare.

In realtà, la discesa sul "pendio scivoloso" è, più che una teoria, un dato di fatto: basta conoscere un po' la storia di leggi e sentenze nei Paesi in cui l'eutanasia o il suicidio assistito sono stati legalizzati. E il fatto che molti la prevedessero tempo fa risponde semplicemente a come funziona la logica umana. Se si accetta un determinato comportamento in funzione di determinati principi, seguiranno poi facilmente comportamenti simili basati sugli stessi principi. Logica e coerenza.

Sono due i principi che avallano fondamentalmente la giustificazione dell'eutanasia e dell'assistenza al suicidio: Compassione e Libertà. Non è un caso che la principale agenzia pro eutanasia degli Stati Uniti si chiami oggi "Compassion and Choice" (alcuni anni fa era la "Hemlock Society" -- "Società Cicuta": sicuramente meno carino come nome). Interessante notare come quasi sempre gli autori danno molta importanza al "and" (compassione e scelta libera), in maniera alquanto incoerente. 

Da una parte, si dice che si tratta di una questione di autonomia e libertà: ognuno è padrone della propria vita e dovrebbe poter decidere come e quando finirla. Se però, rispondi che allora anche un ragazzo di 25 anni, stufo di vivere per qualunque motivo, dovrebbe poter porre fine alla propria vita con il servizio eutanasico da parte dello Stato; anzi, che se siamo coerenti, non dovremmo nemmeno chiedergli per quale motivo lo voglia fare, molti protestano e ti accusano di demagogia. Anche la lettera dei due ministri olandesi al Parlamento si premura di chiarire che l'opinione che la vita sia completa deve essere "attentamente considerata" (e chi decide se la considerazione è stata "attenta"?). É o non è, ognuno, libero di decidere?

Viceversa, se l'eutanasia si giustifica per compassione verso chi soffre (fisicamente o mentalmente), perché negarla a chi non la può chiedere, solo per il fatto di non poterlo fare, per esempio il bambino piccolo, magari a richiesta dei genitori? Certo, parlare in modo così netto non aiuta molto alla causa delle promozione dell'eutanasia. Si preferisce andare, scivolare, piano piano. Una strategia molto più efficace.

mercoledì 10 febbraio 2016

Famiglia o famiglie? Amore o amori?

Articolo pubblicato su ZENIT

Sabato 30 gennaio al Circo Massimo di Roma si sono radunate tantissime persone provenienti da tutta Italia "in difesa della famiglia e dei bambini" (come recitava lo slogan ufficiale della manifestazione). La difesa dei bambini passa attraverso la difesa della famiglia.
Sabato 23 gennaio ci sono state delle manifestazioni in molte piazze italiane per difendere il riconoscimento di diversi tipi di famiglia, con lo slogan "Amore =".

Domande importanti: Famiglia o famiglie? Amore o amori?

Cominciamo con la prima. E cerchiamo di essere chiari e onesti. Il vocabolo "Famiglia" è un concetto analogo: viene riferito e realtà molto diverse solo in quanto tra di esse c'è qualche punto di somiglianza. Si parla di famiglia per riferirsi all'unione sponsale stabile e pubblica di un uomo e una donna, la quale unione può eventualmente generare dei figli; si usa il termine anche per indicare una comunità religiosa che costituisce una "famiglia spirituale"; i biologi lo usano per la classificazione tassonomica; si può addirittura parlare della "famiglia umana". Sono la stessa cosa?

Quando ricorriamo a concetti analoghi dobbiamo essere attenti (e onesti) per non creare confusione; sennò l'analogo diventa equivoco. Pasticcio. Non è la stessa cosa dire che qualcuno "è andato al gabinetto" e dire che "è in corso una riunione del gabinetto dei ministri" (i maliziosi possono fare un sorrisino…). E per evitare equivoci è importante soprattutto non usare il vocabolo analogo come se fosse univoco. Una "famiglia religiosa" non deve essere equiparata a una "famiglia" punto e basta. In questo caso l'equivoco non è tanto facile, perché sappiamo tutti che si tratta di realtà ben diverse. Il problema è quando si pretende che ogni tipo di convivenza tra adulti, eventualmente legati affettivamente, costituisca una famiglia equiparabile all'unione sponsale stabile e pubblica di un uomo e una donna.

Il pasticcio è ancora maggiore quando si pretende che quei diversi tipi di unione e convivenza possano essere riconosciuti e trattati dalla società come se fossero la stessa cosa, o quasi. La società, e a nome suo lo Stato, si interessa in modo diverso ai diversi tipi di raggruppamenti umani che i cittadini possono costituire. Un conto è una "società per azioni", un conto diverso è una "società a responsabilità limitata", e un altro ancora una "società non profit", per esempio una ONLUS. Sono realtà di natura diversa e interessano alla società in modo diverso. Perciò lo Stato le tratta in maniera diversa. L’impresa non può pretendere i benefici concessi all’ONLUS.

La famiglia costituita dal rapporto sponsale stabile e pubblico di un uomo e una donna ha una sua particolare natura, che la rende specificamente diversa da ogni altro tipo di unione o relazione umana. Un elemento sostanziale della sua identità è che si tratta di una unione che è di per sé "generativa": da lui e lei possono essere generati altri membri della nostra comunità umana. Come diceva Blondel, sono due che si fanno uno per diventare tre. E questa specificità definitoria della famiglia è iscritta nel tipo di rapporto umano tra lui e lei, che chiamiamo "matrimoniale", aldilà del fatto biologico che avvenga o meno il concepimento. Ed è sopratutto a motivo di quella natura "generativa" del matrimonio che la società e lo Stato s’interessano di quel tipo di rapporto umano in maniera specifica, riconoscendo dei diritti particolari e ponendo dei precisi doveri. Lo Stato non ha un’interesse a regolamentare i rapporti affettivi delle persone. E non deve farlo. Non deve neanche intromettessi nei rapporti liberi di convivenza tra le persone adulte, che siano coppie o gruppi di più persone. Lo fa e lo deve fare quando invece si tratta di un matrimonio, di una relazione "generativa", e per tanto importantissima per tutta la società.

Solo in questo caso si può parlare in maniera univoca e non confusionale di "famiglia"; oppure si utilizzi il termine in senso meramente analogico, senza pretendere che si attribuiscano gli stessi diritti e doveri, come quando ci riferiamo ad una "famiglia religiosa" o alla famiglia tassonomica del Anas erythrorhyncha!.

E veniamo alla seconda domanda: Amore o amori? E ci risiamo: analogia. È inutile che si scriva su dei cartelloni "Amore =" Che significa? Che tutti i tipi di amore sono uguali? Posso amare mia moglie, mio figlio, un mio amico, il cane, la mia squadra del cuore, il cinema, il prossimo e Dio. Amore? Certo. Ma amori diversi, diversi tipi di volizione positiva e di affetto. E di nuovo, non è il rapporto di affetto che interessa allo Stato che lo Stato deve o può regolamentare.

E allora lo Stato stia da parte quando due o più persone adulte, dello stesso sesso o di sessi diversi, nutrono tra di loro sentimenti affettivi o convivono sotto lo stesso tetto e condividono lo stesso frigorifero (come possono essere tre studenti amici per la pelle che condividono l’appartamentino per affrontare le spese) se non si uniscono con quell’unico, specifico tipo di unione che è in se "generativo". Lui e lei.


Ogni altro tipo di rapporto e convivenza non è matrimonio e non è famiglia. Non sia trattato in quanto tale.

giovedì 25 giugno 2015

"Difendiamo i nostri figli": Non si può parlare sempre di tutto!

Leggo la nota di Marisa Orecchia, intitolata "Luci e ombre del 20 giugno". Lamenta che nella grande manifestazione a Piazza San Giovanni non si sia parlato contro l'aborto e la riproduzione assistita. Ciò che è proprio brutto è che accusa gli organizzatori di aver sorvolato questi temi "furbescamente". Ecco, come al solito, il giudizio alle intenzioni; la critica acida a chi non dice o non fa ciò e come uno vorrebbe.

A piazza San Giovanni non si è parlato della legge 194 né della legge 40 per il semplice fatto che il motivo del raduno era un'altro. Non si è parlato nemmeno dell'accoglienza degli immigranti, né del sostegno dello Stato alle famiglie... Se ci pensi bene, sono meno le cose importanti di cui si è parlato che quelle di cui non si è parlato!

Ogni incontro, ogni manifestazione, ogni azione, si prefigge i suoi obiettivi, senza mescolare altri temi, anche se importanti. E mi pare che gli obiettivi e le preoccupazioni che hanno radunato centinaia di migliaia di persone a San Giovanni siano sufficientemente gravi e urgenti come per mescolarli con altri obiettivi e preoccupazioni.

Non mi risulta che nelle varie edizioni della "Marcia per la vita" sia stata denunciata l'introduzione dell'ideologia del gender nelle scuole. Devo pensare che gli organizzatori della Marcia hanno sorvolato il tema furbescamente?

Smettiamola con questa mania di criticare chi non fa ciò che e come noi vorremmo.

Condivido, però, in pieno, la preoccupazione di Orecchia per il fenomeno di "assuefazione" nella nostra società sulla pratica dell'aborto e della fecondazione in vitro, e le leggi e sentenze che permettono di disporre di tante vite umane innocenti.

E allora, diamoci da fare ancora di più per svegliare le coscienze su questi gravi problemi. Rinforziamo la "Marcia per la vita", invitando in modo aperto, senza appropriazioni indebite, tutte le realtà sensibili alla difesa della vita umana.